Grandi notizie in casa AzzurroDigitale! L'azienda sostenitrice di Ca' Foscari Alumni, infatti, ha finalizzato la cessione di AWMS - Advanced Workforce Management System - al Gruppo Zucchetti, che ha acquisito il 100% della società. Fondata da AzzurroDigitale, AWMS è specializzata nella gestione avanzata della forza lavoro nel settore manifatturiero. Negli ultimi anni, la società è cresciuta fino a diventare un punto di riferimento nel panorama industriale ed è stata valutata complessivamente 24 milioni di euro.
Abbiamo intervistato Carlo Pasqualetto e Jacopo Pertile, co-founder di AzzurroDigitale ed entrambi Alumni Cafoscarini.
Avete da poco concluso una exit importante. Che cosa rappresenta per te questo traguardo, a livello personale e professionale?
Carlo: L’exit rappresenta il coronamento di un percorso di crescita e di sfide continue. A livello personale, è una grande soddisfazione vedere che un’idea nata con poche risorse e tanta determinazione abbia creato valore riconosciuto anche da altri. A livello professionale, è la conferma che la strada intrapresa – fatta di innovazione, attenzione alle persone e capacità di leggere il mercato – è quella giusta. Ma non lo considero un punto di arrivo, piuttosto un punto di partenza verso nuove avventure imprenditoriali.
Se ripensate all’inizio del vostro progetto imprenditoriale, qual è stato il momento più critico... e quello più entusiasmante?
Jacopo: Il momento più critico? Tenerci uniti. Uno dei motivi più frequenti per cui una startup salta sono i dissidi tra i founder. Nel nostro percorso, il periodo più complesso è stato nel 2021, quando io e Carlo siamo arrivati molto vicini a una rottura. Siamo riusciti a superarla, direi egregiamente, grazie alla nostra amicizia profonda (ci conosciamo da quando abbiamo 13 anni) e al supporto di Francesco Beraldi, nostro primo investitore.
Il momento più entusiasmante? Ce ne sono stati tanti, ma uno mi è rimasto particolarmente impresso: il 30 luglio 2019, giorno del mio compleanno, ricevo una mail mentre sono in treno da Lugano. Ferrari — il gruppo che più di ogni altro rappresenta l’eccellenza nel mondo — ci ha inviato il contratto firmato. È stato un momento indimenticabile.
In che modo l’esperienza a Ca’ Foscari ha influito sulla vostra visione del lavoro e sul vostro approccio all’innovazione?
Carlo: Ca’ Foscari mi ha insegnato a pensare in modo critico e a guardare ai problemi da prospettive diverse. L’ambiente internazionale e i corsi focalizzati sulla contaminazione tra discipline mi hanno trasmesso la capacità di unire visione strategica e concretezza operativa. È stata una palestra che mi ha aiutato a sviluppare curiosità, resilienza e una mentalità orientata all’innovazione.
Quanto conta, oggi, far parte di una community come quella di Ca’ Foscari Alumni? Avete mai trovato spunti, connessioni o opportunità grazie a questo network?
Jacopo: Conta moltissimo. Ca’ Foscari è un punto di incontro per menti curiose e aperte. Alcune delle connessioni più preziose — partner, collaboratori, persino investitori — sono nate in contesti legati all’università. Ma soprattutto, il network ti ricorda chi sei e da dove vieni: un’ancora solida mentre guardi lontano.
Ogni storia di successo è costellata di ostacoli. C’è un errore che si è rivelato fondamentale per crescere?
Di errori ne abbiamo fatti tantissimi. Uno degli insegnamenti più importanti, anche se può sembrare banale, è che per costruire un’azienda serve tempo, e quindi pazienza. Oggi sembra che nessuno ce l’abbia più: tutti vogliono tutto e subito. Ma non funziona così.
Con il tempo arriva l’esperienza, la credibilità, e allora si accelera. Ma all’inizio bisogna accettare che i risultati arrivano solo con costanza e resilienza.
L’altro giorno mi ha scritto su LinkedIn una persona che voleva far conoscere il suo software a Zucchetti. Gli ho chiesto quanti clienti avesse: stava chiudendo i primi due. Gli ho detto solo una cosa: “ci vuole pazienza”.
Il Veneto è spesso considerato una terra pragmatica, ma anche ricca di idee e competenze. Quanto è stato importante per voi partire da qui?
Carlo: Partire dal Veneto è stato fondamentale. È una terra che unisce una cultura del lavoro solida a un forte spirito imprenditoriale. Qui ho trovato un tessuto di PMI e distretti industriali con una voglia di evolversi, e questo ci ha permesso di testare soluzioni innovative direttamente su casi concreti. Credo che il Veneto abbia una combinazione rara di pragmatismo e creatività che stimola chi, come noi, vuole fare innovazione.
Che consiglio dareste oggi a un giovane Cafoscarino che sogna di lanciare la propria startup?
Jacopo: Parti. Anche se non è tutto chiaro, anche se ti manca qualcosa. Il momento perfetto non esiste: il mercato è il miglior mentore possibile.
Punta a risolvere un problema concreto, non a inseguire una moda. E costruisci relazioni vere, prima ancora che un pitch perfetto. I primi clienti, i primi colleghi, i primi investitori sono il tuo tesoro più grande. Trattali sempre con rispetto e riconoscenza: ti porteranno lontano.
Come si coniugano, secondo voi, innovazione e tradizione? È possibile fare impresa globale senza dimenticare da dove si viene?
Carlo: Innovazione e tradizione non sono in contrasto, anzi: la vera innovazione nasce quando si valorizzano le proprie radici. Le aziende italiane che riescono ad avere successo globale spesso portano con sé il valore della qualità, della cura del dettaglio e della cultura che ci contraddistingue. Credo sia possibile guardare lontano senza mai perdere il legame con la propria storia, che è ciò che ci rende unici e riconoscibili.
Dopo un’exit così significativa, cosa vi motiva oggi? Quali nuove sfide vi attirano?
Jacopo: Un’exit non è un traguardo, è una transizione. Un po’ come una laurea: un passo importante, ma non un punto d’arrivo.
Oggi mi motivano due cose: da un lato, continuare a scalare soluzioni che impattano concretamente sul modo in cui si lavora nelle fabbriche del mondo, e costruire qualcosa di ancora più grande. Dall’altro, restituire.
Aiutare altri imprenditori a partire è per me una forma altissima di impatto. Pensa che da ex Azzurri sono nati diversi progetti imprenditoriali, come Meggycare, una piattaforma sul social freezing, o J4Energy, che aiuta a calcolare il ROI negli investimenti in energia rinnovabile.
Altri ancora hanno lasciato il “posto fisso” per aprire la propria partita IVA. Per me, questa è una delle soddisfazioni più grandi: vedere nascere valore, anche per il territorio, da un seme che abbiamo piantato anni fa.
Come immaginate il ruolo degli Alumni nel sostenere l’università, i giovani e l’ecosistema dell’innovazione nei prossimi anni?
Carlo: Penso che gli Alumni possano essere un vero motore di connessioni e ispirazione. Condividere esperienze concrete con gli studenti e le startup emergenti significa creare un ponte tra mondo accademico e mondo del lavoro. Nel futuro vedo gli Alumni come “mentor diffusi”, capaci di aprire opportunità, dare visibilità a progetti innovativi e portare competenze pratiche che accelerano la crescita di nuovi talenti.