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Caterina Ferruzzi

Facoltà: Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale

Caterina Ferruzzi

E’ paradossalmente più facile scrivere storie di pura fantasia che parlare di se stessi.
In questo spazio vorrei raccontarvi il mio percorso e come sono giunta fino qui, ad avere cioè il privilegio di occupare un piccolo spazio in questo contesto così prestigioso.
Guardandomi indietro mi accorgo di aver avuto molte esperienze formative e professionali di vario tipo e nessuna di essa è mai stata inutile, anche se a volte ho avuto questa impressione, cadendo nello sconforto… Con il tempo infatti si arriva alla conclusione che tutto può tornare buono quando meno ci si aspetta.
Parto dalla fine ovvero da quando recentemente sono diventata scrittrice. E’ successo un po’ per caso, con un pizzico di fortuna e una buona dose di testardaggine.

Visto che davvero nulla capita per caso, tutto ha inizio con il mio percorso di studi che, fin dai tempi delle scuole medie, mi ha fatto immergere per molti anni nel mondo della letteratura tra il liceo classico e il percorso universitario.
Dopo essermi laureata nel 2003 al DAMS di Padova con una tesi sul cinema italiano degli anni Novanta, seguita dal professor Gian Piero Brunetta, ho deciso di continuare con un percorso più specializzante nell’ambito dei media, frequentando un master di primo livello in Educazione Audiovisiva e Multimediale. La passione per il cinema “da vedere” era grande, ma pian piano si era fatta strada anche la curiosità e la voglia di imparare “come si fa”.
Un corso di scrittura creativa e la conseguente realizzazione di un cortometraggio, sulla base di una sceneggiatura per la quale avevo collaborato, mi ha aperto gli occhi su una nuova dimensione, sicuramente più pratica, del mondo del cinema. In questo ambito ho visto riconosciuto il mio lavoro, presentando un paio di cortometraggi in piccoli festival italiani dove ho ottenuto delle belle soddisfazioni. La maggiore è stata sicuramente la vittoria del premio Pasinetti, massimo riconoscimento dell’omonimo Festival veneziano, grazie ad un documentario realizzato per un progetto del Comune di Venezia.

A quell’epoca non sapevo che a questa fase ne sarebbe seguita una nuova di altrettanto appagante.

Il mondo del cinema mi ha sempre affascinata, fin da quando, adolescente, andavo al Lido di Venezia, durante i giorni della Mostra del cinema, a “caccia” degli attori che calcavano il red carpet. Mai avrei immaginato che qualche anno dopo avrei avuto la possibilità di  lavorare, in qualche modo, in questo ambito. Ho infatti collaborato tra il 2006 e il 2008 con l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia nel progetto di sistemazione e catalogazione delle foto inerenti ai festival del cinema a partire dalla prima edizione del 1932. Un viaggio in un mondo magico che mi ha fatto toccare con mano e vedere con i miei occhi una storia meravigliosa che grazie al lavoro di riordino e digitalizzazione pian piano diventava fruibile da tutti gli interessati.

Ed è in questo periodo che nasce la decisione di iscrivermi a Ca’ Foscari, precisamente al corso di Laurea Specialistica in Scienze dello Spettacolo e della Produzione Multimediale.
Qui, grazie al professor Carlo Montanaro, mio relatore della tesi, ho conosciuto la parte più tecnica del cinema, completando un affascinante percorso di conoscenza.
La mia tesi, discussa nel 2011, mi ha portata a studiare la nascita e lo sviluppo del genere fiction nella televisione italiana, dagli esordi, quando si chiamava sceneggiato, fino alle produzioni di oggi, analizzando le questioni tecniche e narrative di un genere che, pur trasformandosi nel tempo, è sempre di moda. Grazie a questo lavoro ho potuto quindi visitare il set di popolari fiction del momento a Cinecittà e a Milano e vedere con i miei occhi la parte più pratica di un mondo che non può essere assolutamente studiato solo sui libri.
Parallelamente al cinema nasce la passione per la scrittura. Avevo già collaborato per un paio di siti di cinema, ma è un corso di web journalism della scuola di giornalismo “A.Chiodi” che mi apre nuovi orizzonti. Apro un blog, di cinema ovviamente, e poco dopo inizio a scrivere per un magazine online, occupandomi della rubrica dedicata alla settima arte. Lavoro in questi ultimi anni anche presso l’Ufficio Stampa della Biennale di Venezia, acquisendo nuove competenze e conoscenze.
Nel frattempo nel 2012 entro a far parte di  un team di formatori dell’Università degli Studi di Padova che porta avanti un progetto per la sperimentazione dei linguaggi mediali e multimediali nelle scuole primarie e secondarie di primo grado del Veneto. Un’ occasione davvero importante che è proseguita di anno scolastico in anno scolastico grazie al contributo della Regione Veneto che offre la possibilità a molti ragazzi di mettere le mani “in pasta” e realizzare un prodotto nell’ambito della multimedialità.

Ed eccomi arrivata alla fine e quindi al principio di questa breve storia. “La Forma delle Nuvole” è il titolo del mio romanzo d’esordio. Il primo certo, a cui spero ne possano seguire altri.
L’idea di scrivere un romanzo mi è stata suggerita da alcuni amici che credevano nelle brevi storie di mistero che creavo per situazioni conviviali e che li coinvolgevano in un vero e proprio gioco di società.
Ho iniziato quindi a scrivere, senza in realtà crederci veramente, ma ad un certo punto ho capito, pagina dopo pagina, che mi piaceva. E pure molto. La mente vagava in mondi noti, ma ignoti nel contempo. Scrivere un romanzo significa sì inventare, ma fino ad un certo punto. Mentre si scelgono personaggi, situazioni e ambientazioni emerge un substrato di conoscenze ed esperienze che inevitabilmente contamina, se così vogliamo dire, la creazione.
Ho trovato degli editori locali che hanno creduto in me (Mazzanti Libri) e questo mi ha fatto in qualche modo capire che il tempo passato davanti al computer a leggere e rileggere quella storia, da tre anni a quella parte, non era andato sprecato.
Scrivere è manipolare a piacimento tempo e spazio riempiendoli di ciò che si vuole, cosa che nella realtà non è assolutamente possibile. E forse per questo lo scrittore si sente pervaso da una buona dose di onnipotenza che, se “maneggiata” con cura, può essere lo stimolo giusto per proseguire con caparbietà fino all’agognata ultima pagina e alla parola “fine”.

A quel punto ci si rende conto che la propria creatura ormai è matura, pronta ad affrontare il feroce mondo dei lettori e il distacco diventa addirittura traumatico dopo tanto tempo trascorso in perfetta simbiosi. Quando cominci a sfogliare le pagine profumate di carta capisci che tutto ciò che hai fatto e vissuto, sconfitte comprese, ha avuto un senso.

(Pubblicato il 4/09/2015)