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Marco Dalla Dea, da Ca' Foscari a Tokyo 2020 per comunicare lo sport

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Venezia, 02 Agosto 2021 - L’Italia ha appena vinto due straordinarie medaglie d’oro nell’atletica alle olimpiadi di Tokyo, che sono in pieno svolgimento dopo essere state rimandate di un anno a causa della pandemia. E c’è anche un po’ di Ca’ Foscari, nell’organizzazione dell’evento. Abbiamo intervistato Marco Dalla Dea, classe 1982, un master in Sport Marketing and Communication conseguito a Ca’ Foscari, oggi a Tokyo per collaborare alla realizzazione della sua quarta olimpiade. Docente universitario, fondatore dell’agenzia di comunicazione YAK Agency a Padova, è consulente della comunicazione del Comitato Olimpico Internazionale.

Marco Dalla Dea

Marco, come avete vissuto le medaglie italiane da Tokyo?

È stata un’emozione fortissima, ed in parte anche inaspettata, credo questo lo si possa dire. Quell’abbraccio tra Jacobs e Tamberi è stato seguito da un’esplosione di gioia da tutti gli italiani qui a Tokyo. E credo che, più in generale, abbia lanciato un messaggio positivo sotto diversi punti di vista. Tutti noi, tutto il mondo, veniamo da oltre un anno di difficoltà e incertezze. Essere testimoni di un evento di portata mondiale, nel quale competono in tutta sicurezza oltre 11 mila atleti da 206 nazioni, è liberatorio e ci aiuta a vedere la proverbiale luce in fondo al tunnel. Le medaglie italiane, non solo quelle di Jacobs e Tamberi, hanno contribuito a creare una sensazione di orgoglio in tutti noi italiani che abbiamo lavorato alla realizzazione dei Giochi.

Sono delle Olimpiadi molto diverse dal solito, quelle di Tokyo, non è vero?

Certamente Tokyo è un unicum nella storia delle Olimpiadi moderne. Da quando vengono disputate, dal 1896, solo tre edizioni erano state annullate o rimandate, e sempre a causa di una guerra. La pandemia ha costretto gli organizzatori a rimandare l’evento di un anno, e a ripensare completamente l’esperienza olimpica. Non ci sono spettatori, non sono consentiti per motivi di sicurezza sanitaria. E l’opinione pubblica giapponese ha espresso dei comprensibili motivi di apprensione verso un evento di questa portata, prima dell’avvio delle gare. Il paese ha avuto successo nel contenere l’infezione sin dall’inizio della pandemia, ma la diffusione delle varianti e un programma di vaccinazione che non copre ancora la maggior parte della popolazione hanno purtroppo fatto salire i contagi negli ultimi mesi. In questo contesto, l’arrivo di trenta, quarantamila persone per i Giochi ha creato più di qualche preoccupazione.

Quali misure di sicurezza sono state prese, per evitare il diffondersi dei contagi, e consentire lo svolgimento dei Giochi?

Il comitato organizzatore di Tokyo 2020, il Comitato Olimpico Internazionale ed le autorità giapponesi hanno creato una “bolla” Olimpica, che include atleti e collaboratori. Chi fa parte della bolla non viene a contatto con l’esterno, e viceversa. Questo, insieme ad un regime di monitoraggio e testing strutturato nei minimi dettagli, soluzioni di tracciamento tecnologiche, e a indicazioni chiare per ogni stakeholder (con un manuale, chiamato “playbook”, per ogni categoria di partecipante) sta consentendo all’evento di svolgersi nel modo più sicuro possibile. Non vorrei annoiarvi con i dettagli, ma vi basti sapere che ad oggi (1 Agosto) sono stati condotti oltre 41 mila test all’aeroporto su atleti e personale in arrivo a Tokyo, ed oltre 450 mila test dall’inizio dell’evento tra tutte le categorie di partecipanti. Io, ad esempio, vengo testato ogni giorno da venti giorni a questa parte. Il tasso di positività è bassissimo, e per la precisione dello 0,02%. La bolla olimpica è, ad oggi, il luogo più sicuro al mondo.

Cosa ci puoi raccontare dell’esperienza a Tokyo 2020? Di cosa ti occupi esattamente?

YAK Agency, l’agenzia di comunicazione che ho fondato con il socio Giovanni Cecolin e che oggi impiega una ventina di persone, è stata selezionata tramite una gara internazionale per supportare il Comitato Olimpico Internazionale nella comunicazione dello sport della Boxe. Dal 2019 abbiamo seguito tutto il percorso di qualificazione Olimpica dello sport, inviando nostro personale in Svizzera, Giordania, Senegal, Inghilterra, Francia ed infine Giappone per seguire gli eventi. Qui a Tokyo ci occupiamo di tutta la pianificazione per permettere alla stampa internazionale di coprire gli eventi nel migliore dei modi. Siamo poi incaricati della strategia di comunicazione, dell’ufficio stampa degli eventi, della realizzazione di guideline per i media, della comunicazione interna, e del management dei fotografi internazionali. Nei fatti, in questi giorni il nostro team è basato ala Kokugikan Arena, dove si svolgono oltre 270 incontri di boxe in 13 categorie, mentre un secondo gruppo di collaboratori fa da ponte dall’ufficio di Padova per far fronte al fuso orario di 7 ore con l’Europa.

Incontro di boxe durante le Olimpiadi

Non è la tua prima esperienza alle Olimpiadi, da dove sei partito?

Sono alla quarta Olimpiade. La mia prima esperienza è stata a Pechino 2008, un’Olimpiade alla quale ho collaborato per anni prima dell’effettivo svolgimento dei Giochi, vedendo cambiare la capitale cinese di mese in mese, per presentarsi al mondo sotto una nuova veste – non solo sportiva – l’8 Agosto 2008. Una data magica per i cinesi, che considerano l’otto un numero fortunato. Poi Londra nel 2012 – un’esperienza stupenda e professionalizzante – e Rio de Janeiro – con tutti i suoi contrasti – nel 2016. Nel mezzo, ho collaborato anche a tre edizioni delle Olimpiadi della Gioventù, a Singapore, Nanchino e Buenos Aires. Se ci ripenso ora, sono veramente grato per tutte le città, le culture e le persone con le quali sono potuto venire a contatto in questi anni.

Qual è stato il tuo percorso di studi?

Dopo una laurea magistrale in Comunicazione, sono diventato giornalista, prima pubblicista e poi professionista, collaborando sin da subito con realtà del mondo dello sport. Ho sempre lavorato nell’ambito degli uffici stampa, e negli anni mi sono avvicinato al movimento Olimpico, seguendo la mia passione per i cinque cerchi. Nel 2010 ho intrapreso il Master di primo livello in Sport Marketing and Communication proposto da Ca’ Foscari, che mi ha permesso di crescere nel mio lavoro, integrando le competenze nell’ambito della comunicazione con i fondamenti del marketing. Una sinergia sempre più importante, nello sport e non solo, ai giorni nostri. Quanto imparato a Venezia è stato fondamentale nell’ambito del mio main business, l’agenzia di comunicazione, che impiega oggi una ventina di collaboratori e lavora con realtà di tutto il mondo in progetti che vanno oltre lo sport. Lo scorso anno abbiamo registrato un export di oltre il 30% del fatturato, e la nostra lingua di lavoro principale è l’inglese. Proprio come il master che ho frequentato a Venezia.

Cosa ti ha dato Ca’ Foscari?

L’ambiente di Ca’ Foscari è stato un game changer, nel mio percorso. L’internazionalità dell’ateneo – oltre che l’eccellenza dell’offerta formativa – ha contribuito ad allargare la mia visione, e mi ha permesso di costruire una rete di relazioni utili ed appaganti. Mi capita spesso di essere da qualche parte, in giro per il mondo, a Tokyo come a Santiago del Cile, e di incontrare qualche Alumnus che conosco personalmente, o con il qualche abbiamo condiviso a distanza progetti internazionali. Ci si riconosce, tra Cafoscarini. Non sono da solo nemmeno qui a Tokyo: Chiara Ferrante, di YAK Agency, lavora con me alla Boxe, mentre Marco Vettoretti è il responsabile comunicazione dello Sport Climbing. Entrambi escono dal master in Sport Business Strategies di Ca’ Foscari / Verde Sport, con il quale tra l’altro collaboro. E non sono i soli, so per certo che diversi altri Alumni hanno contribuito alla preparazione ed allo svolgimento dei Giochi di Tokyo. D’altronde si sa, che tra Venezia e l’estremo oriente il link è forte, e non da oggi!