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A cosa servono le Olimpiadi? Testimonianza di un Cafoscarino da Londra 2012

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A poche ore dalla conclusione delle Para-Olimpiadi di Londra 2012, Marco Dalla Dea ci racconta le Olimpiadi viste con gli occhi di un Cafoscarino. Master in Sport Marketing and Communication a Ca’ Foscari nel 2010, Dalla Dea, classe 1982, è giornalista e si occupa di comunicazione ed uffici stampa. Collabora con il Comitato Olimpico Internazionale e la Federazione Internazionale del Tiro per le Olimpiadi, le Para-Olimpiadi e gli Youth Olympic Games, oltre che con diverse aziende del comparto sport e moda.

Torno dalle Olimpiadi e dalla Para-Olimpiadi di Londra con gli occhi pieni di immagini. Ho visto gente con la faccia dipinta. Ho visto campioni battere record. Ho visto presidenti esultare. Ho visto le mascotte più brutte della storia dello sport. Ho visto gente piangere (ma le due cose non sono collegate, credo). Ho visto una donna incinta di otto mesi gareggiare, un campione di rally vincere nel tiro al piattello, e una ragazza terremotata salire sul podio. Ho visto mangiate colossali a Casa Italia, e l’African House chiudere perché nessuno si era preoccupato di pagare il conto (cancella il debito, qui, non l’ha però scandito nessuno). Ho visto la Regina d’Inghilterra buttarsi da un elicottero, e Beckham sul gommone con i capelli scompigliati (o almeno così pareva). Ho visto ragazzi senza braccia tirare con l’arco, e inanellare un centro dopo l’altro. Ho visto, insomma, un sacco di cose che varrebbe la pena raccontare.

Ma una volta tornato a casa, la domanda che più mi sono sentito rivolgere è stata: a cosa servono le Olimpiadi? Spesso con il tono un po’ disilluso, di chi non sa bene cosa aspettarsi, e nel frattempo dubita.

I critici sanno essere molto più pressanti dei curiosi, ed allora ho cercato una risposta, per scoprire poi che una risposta univoca non c’è.

I critici bisogna, in effetti, capirli. Le Olimpiadi sono un giocattolo abbastanza dispendioso. I sudditi di sua Maestà hanno scucito dalle tasche nove miliardi di sterline, penny più, penny meno. Quattro anni fa, i cinesi avevano voluto far le cose in grande: venti miliardi di Euro, e fuochi d’artificio come se piovesse. Rio de Janeiro, l’host city delle Olimpiadi 2016, non ha ancora tirato una somma definitiva, ma le prime indiscrezioni parlano di “tanti soldi”. Un business plan forse poco ortodosso, ma chiaro nella sostanza.

E allora, in tempo di spending review, di risorse limitate, che senso ha spendere tanti soldi per un evento sportivo? Ogni quattro anni, la stessa domanda. Eppure io credo ci siano diversi motivi validi, per mettere insieme 10mila atleti, 5mila giornalisti, 70mila volontari, e l’audience globale più grande di sempre.

Le Olimpiadi servono alla città ed al paese che le ospita. Questo è l’argomento che più piace agli economisti, e peccando di piaggeria verso i miei colleghi Cafoscarini lo pongo in cima alla lista. I Giochi creano ricchezza immediata – con l’afflusso di spettatori e turisti – ritorno medio termine – con l’utilizzo dei campi di gara negli anni successivi alle Olimpiadi – e una legacy che frutta nel lungo periodo. Le infrastrutture rimangono infatti in eredità al territorio. Pensando a Londra, buona parte di quei nove miliardi sono stati destinati ad investimenti. Una nuova linea della metro – intitolata è vero al Giubileo della Regina, ma ripensata per i Giochi. Nuove stazioni. Un’area di Londra completamente ridisegnata, ad est della City, in un intervento di bonifica e ricostruzione che ha interessato centinaia di ettari di territorio inquinato. Aree industriali dismesse sono diventate parchi, stadi, piscine, velodromi. Il villaggio Olimpico – 10.000 posti letto nel cuore della nuova London East – sarà convertito in social housing e in sistemazioni per studenti. Gli Scozzesi - notoriamente attenti al salvadanaio - insistevano per ridurre il budget, finché non si è scoperto che buona parte delle installazioni tecnologiche saranno spedite a Glasgow, dove verranno utilizzate per i Giochi del Commonwealth del 2015. In un contesto di crisi economica, le Olimpiadi rappresentano una potentissima leva per attrarre investimenti in un territorio ben definito, contribuendo allo sviluppo di aree depresse. E molto spesso, ciò avviene facendo pagare il conto agli sponsor.

Le Olimpiadi fanno gola a sponsor e media. Ebbene si, pecunia non olet, anche se viene dalle casse del McDonald’s. Serve qualcuno che effettivamente metta mano al portafoglio. Ecco allora scendere in campo giganti della chimica, della ristorazione, del broadcasting, dell’automotive, dell’elettronica e delle bevande. Sono tutti a caccia di visibilità, di contenuti premium da offrire ai propri clienti e di pacchetti vip da distribuire agli executive. Perché le Olimpiadi sono – per chi le vive – un megaevento unico nel suo genere, un’esperienza che si fa una volta nella vita se va bene, un “must see”. E il Comitato Olimpico Internazionale è molto ben attrezzato, nel marketizzare ogni spazio disponibile. Ecco che lo sport, venduto a pacchetto, mettendo insieme i circa trenta sport che compongono le Olimpiadi,  crea un valore che supera la somma delle singole discipline. Peccando di parafrasi, Londra val bene una lattina di cola, e lo sfruttamento del valore ricade a pioggia su molti stakeholders, non ultimi gli abitanti della città.

Le Olimpiadi giovano allo sport, quello vero. I Giochi sono un palcoscenico d’eccezione, ma non elitario. Non si tratta della Champions League o di Wimbledon, e dei loro (pochi) protagonisti strapagati. Bolt e Federer a parte, negli sport minori può succedere che camionisti russi incontrano principi del Dubai in match di tiro al piattello. Le Olimpiadi sono proprio per tutti, un vero e proprio melting-pot: atleti di 205 paesi, dagli USA alle Isole Cook, da San Marino alla Cina, vengono a sudare sul tartan dello stadio Olimpico. C’è chi si qualifica al primo colpo, e chi acchiappa una wild card all’ultimo minuto, ma l’importante è esserci e rappresentare il proprio paese. C’è chi compete per vivere – grazie agli sponsor – e chi vive per competere, tutta passione, pochi soldi in tasca, e tanta voglia di fare, e “visto che sono a Londra passo pure da Harrods”. I soldi mossi dai “grandi”, dal tennis, dall’atletica che conta, dagli sport più blasonati insomma, servono anche a pagare i piccoli, e lo sviluppo degli sport di nicchia, che per alcuni distretti industriali possono fare la differenza (pensiamo solo al distretto dei fucili da tiro di Brescia-Gardone Val Trompia, che ha festeggiato 5 medaglie Olimpiche azzurre a Londra).  E così il dressage, il volano, il table-tennis e perché no, le bocce in un prossimo futuro, e non si sa mai che il nonno del piano di sopra non ve lo ritroviate a competere a Rio 2016 (fuor d’ironia, a Londra il cavallerizzo Giapponese Hoketsu è salito in sella con tutta l’esperienza dei suoi 71 anni).

Le Olimpiadi servono a noi, al mondo, per guardarsi allo specchio e vedersi un po’ più piccolo e unito, e perché no un po’ più bello e solidale. In quale altra occasione, ragazzi di tutto il mondo si trovano così vicini, così uguali, come su una pista d’atletica, o un campo di basket? Le atlete iraniane competono con il velo, accanto alle americane con il viso dipinto a stelle e strisce. L’atleta russo abbraccia il Georgiano sul podio, nei giorni di grande tensione tra i due paesi. Il Coreano del Nord e quello del Sud si guardano negli occhi, forse per la prima volta, e anche se forse non potrebbero, non dovrebbero, si sorridono, un po’ imbarazzati. Che vuoi farci, so’ ragazzi. L’India scopre che si, sì può vincere una medaglia alle Olimpiadi organizzate nella capitale dell’ex Impero, ed è subito festa. Tutti insieme, accettando la stessa fatica, le stesse regole comuni, perché 100 metri sono 100 metri in Libia come in Norvegia. Una lezione di speranza anche per chi le Olimpiadi le guarda dal divano. Ed è forse questo, uno dei veri motivi per cui le Olimpiadi servono. Lo sport aiuta a provare empatia verso il prossimo, a gettare il cuore oltre l’ostacolo e ad andare avanti. Insegnamenti preziosi, in tempo di crisi.

E se le Olimpiadi effettivamente servono a qualcosa, perché non sognare le Olimpiadi in Veneto? Nel 2009 Il sindaco Cacciari aveva lanciato Venezia, e la sua area metropolitana, come possibile location delle Olimpiadi 2020. Ma prima ancora del rigore Montiano, ci avevano pensato le autorità dello sport – CONI in testa – ad affossare la proposta, candidando invece Roma. Ma si sarebbero potute fare, le Olimpiadi qui da noi, tra le Alpi e l’Adriatico? Non sarebbe stata la prima volta. Le Olimpiadi in Veneto, effettivamente ci sono già state, nell’edizione invernale, dal 26 Gennaio al 5 Febbraio 1956 a Cortina (anche se le Regioni non erano ancora codificate nella Costituzione, all’epoca). Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti del Piave… Certo è che l’investimento richiesto – oltre 10 miliardi di euro, a voler essere ottimisti – e le sfide logistiche, sarebbero state di livello immane. Peccando di fantasia, mi piace però immaginare Napolitano che si paracaduta da un elicottero. Del Piero che arriva con la fiaccola olimpica a bordo di una gondola. Il braciere Olimpico fatto a mano da un artigiano di Martellago. E più concretamente, a tutte le sinergie che si sarebbero potute creare. Per ottenere le Olimpiadi, infatti, si deve competere con altre città. Ed allora sarebbero potute arrivate nuove infrastrutture per Venezia. Nuovi centri sportivi d’eccellenza, per i nostri figli. E, perché no, una riconversione dell’aerea industriale di Marghera, bonificata e riconvertita anche a spese degli sponsor, quegli stessi colossi della chimica che l’hanno resa una palude di veleni.

Ecco, le Olimpiadi servono proprio a questo. A creare un volano positivo, che coinvolge territorio, politica, industria, e società. Un volano che forse sarebbe servito anche a questa terra tra le Alpi e l’Adriatico che, come le Olimpiadi, sa far fruttare le piccole eccellenze, per creare valore con passione.

Marco Dalla Dea
membro del club Marco Polo


 
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