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Francois Burgay

Facoltà: Scienza e gestione dei cambiamenti climatici

Francois Burgay

Sono François Burgay, ho 31 anni e sono attualmente post-doc fellow presso il Paul Scherrer Institut (Svizzera). Mi sono laureato in Chimica dell’Ambiente presso l’Università di Torino, mentre all’Università Ca’ Foscari di Venezia ho svolto il mio dottorato in Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici nel corso del quale ho sviluppato e ottimizzato un metodo per l’analisi del ferro nelle carote di ghiaccio, cioè dei cilindri che vengono prelevati da diversi ghiacciai; la loro analisi permette di ricostruire il passato climatico del nostro Pianeta. Il ferro, a tal proposito, è un elemento molto importante in quanto, a seconda che ce ne sia di più o di meno, può influenzare la produttività oceanica con conseguenze anche sulla concentrazione atmosferica di anidride carbonica. Ricostruire i flussi di ferro grazie alle carote di ghiaccio è quindi propedeutico per questo tipo di valutazione.
Attualmente ho parzialmente abbandonato questo ramo di ricerca, e mi sto concentrando sull’analisi di composti organici: un settore in forte espansione nell’ambito della glaciologia.

Durante gli anni del mio dottorato e durante il periodo post-doc, ho partecipato a diverse missioni in aree alpine e polari per prelevare questi cilindri ghiacciati. Sono stato alle Isole Svalbard due volte, in primavera ed in inverno. Qui, oltre a sperimentare gli estremi polari quali l’estate e la notte artica (24h di luce e 24h di buio, rispettivamente) ho avuto la possibilità di comprendere per la prima volta che cosa significhi essere un ricercatore polare. Infatti, insieme a due colleghi e amici di Ca’ Foscari (Elena Barbaro ed Andrea Spolaor) ho condotto diverse uscite con la motoslitta nei diversi ghiacciai collocati nelle vicinanze di Ny-Alesund, una piccola cittadina scientifica nell’arcipelago norvegese, per prelevare campioni di neve e ghiaccio.

Sono stato anche in Groenlandia dove ho partecipato alla campagna di perforazione East Grip. Un carotaggio che, contrariamente a quelli effettuati da noi alle Isole Svalbard, non era profondo appena una decina di metri, bensì più di 2 chilometri! Un contesto, quindi, molto diverso, ma altrettanto eccitante.
Infine, per Ice Memory, sono stato come studente di dottorato di Ca’ Foscari al Col du Dome e al Grand Combin. A breve mi recherò sul Colle Gnifetti anche se non più per il “Team Ca’ Foscari”, bensì per il “Team Svizzera”, come membro del Paul Scherrer Institut dove attualmente lavoro.
Tra queste missioni è difficile dire quella che mi è rimasta più impressa in quanto ognuna di queste si è distinta per alcune particolarità. Sicuramente la più “esotica” è stata quella in Groenlandia: essere un puntino perso nell’immensità della calotta polare groenlandese mi ha fatto capire quanto piccoli e fragili siamo noi essere umani se rapportati alla vastità dei paesaggi naturali e alle condizioni climatiche estreme che si sperimentano in quei luoghi. Un aspetto che invece mi ha turbato è stato quello di vedere con i miei occhi gli effetti del cambiamento climatico sulle regioni polari sia alle Isole Svalbard sia in Groenlandia. Alle Svalbard infatti abbiamo potuto constatare numerosi ed estesi fenomeni di fusione in siti ad alta quota, mentre in Groenlandia, dall’aereo, è stato possibile osservare alcuni magnifici (ma al tempo stesso drammatici) laghi azzurri sulla superficie della calotta polare. Un fenomeno “normale”, ma la cui estensione era tutt’altro che nella “norma”.

La missione al Colle Gnifetti sarà la quarta alla quale prenderò parte all’interno del progetto Ice Memory. Come spiegato in precedenza, le carote di ghiaccio sono un formidabile archivio di informazioni circa il passato del nostro pianeta. Esse sono scritte in un alfabeto chimico e grazie alla loro analisi è possibile comprendere l’evoluzione passata della Terra e capire meglio come evolverà in futuro. Il tutto avviene ad una condizione: l’informazione all’interno di questo “libro” ghiacciato deve essere preservata. Se le temperature aumentano ed il ghiaccio fonde, ecco che le “parole” si rimescolano e decifrarle può diventare impossibile.
Il progetto Ice Memory, quindi, vuole intervenire prelevando prima che sia troppo tardi queste carote di ghiaccio per trasportarle e preservarle in un frigorifero naturale, l’Antartide, per le future generazioni di scienziati. In un prossimo futuro, questi ultimi, grazie all’ausilio di tecniche analitiche all’avanguardia, potranno effettuare scoperte oggi impossibili. Negli ultimi 20 anni la ricerca e le tecniche di indagine si sono evolute ad una velocità impressionante: chissà cosa saremo in grado di scoprire nei prossimi 20 anni. Purtroppo però, entro la fine del secolo si prevede che tra il 60 e l’80% dei ghiacciai alpini sarà completamente perduto. Risulta quindi chiaro che salvare il ghiaccio oggi è l’unico modo per poterlo utilizzare nei prossimi decenni. In virtù di tutte le informazioni e conoscenze che si possono ricavare dall’analisi di una carota di ghiaccio (es. pollini, inquinanti, concentrazioni di gas serra ecc…) la loro perdita sarebbe equiparabile all’immensa perdita culturale rappresentata dall’incendio della biblioteca di Alessandria. Per questo, dal momento che purtroppo il destino di gran parte dei ghiacciai delle Alpi è già segnato, occorre agire in fretta affinché si preservi la memoria del ghiaccio.

Per quanto riguarda l’associazione Ca’ Foscari Alumni trovo che sia estremamente importante soprattutto perché permette a ex-laureati di Ca’ Foscari di mantenersi in contatto e, al tempo stesso, permette agli studenti di conoscere quali sono stati i percorsi professionali di chi si è laureato a Ca’ Foscari e trarne ispirazione.

 

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