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Intervista a Roberta Gregori, Parigi

Roberta Gregori vive a Parigi e lavora presso l’ESA (Agenzia Spaziale Europea) come Strategic Planning Officer. Si è laureata all'Università Ca' Foscari Venezia in Economia aziendale.

Secondo il tuo punto di vista come sta rispondendo alla pandemia la società del Paese in cui vivi e quali analogie/differenze trovi con la risposta italiana?

Anche nei nostri cugini d’oltralpe è mancata la giusta comprensione della virulenza del COVID-19. Mentre in Italia si procedeva alla chiusura totale, qui si continuava a vivere come se nulla fosse, quasi che i vecchi confini nazionali costituissero una adeguata barriera all’entrata del virus.
Una grave responsabilità della politica, non solo francese, ma europea e mondiale, che non ha affrontato la pandemia con la necessaria coordinazione su vari livelli, da quello scientifico a quello economico.
Qui una domenica si marzo di invitavano i cittadini ad andare a votare (il primo turno delle elezioni municipali), mentre la sera successiva il presidente Macron, in un messaggio indirizzato alla nazione, annunciava l’“entrata in guerra” contro il virus.

Nella tua città qual è la sensazione più forte o il fenomeno più strano di questi giorni?

Per me è lo scoprire e l’apprezzare la bellezza della natura anche in città. Guardo spesso fuori dalla finestra del mio appartamento nel 15esimo arrondissement meravigliandomi del profumo dell’aria primaverile o dopo una pioggia, del canto degli uccelli, soprattutto all’alba quando il silenzio è ancora più ovattato, dello spuntare delle prime foglie degli alberi o di semplici margherite nel giardino.
Ogni sera alle venti ci si affaccia per applaudire l’operato del personale sanitario. Un bel gesto che mi emoziona sempre pensando al sacrificio di chi già lavora in condizioni precarie e si trova ora in prima linea (anche in Francia la situazione della sanità pubblica è allo stremo, ad inizio anno c’erano state varie contestazioni e scioperi).

Parigi in questi giorni

Com'è la tua "giornata tipo"in lock down?

Innanzitutto, devo fare un plauso all’ESA (Agenzia Spaziale Europea), che dal Direttore Generale alle risorse umane fino alla comunicazione hanno sin da subito accompagnato il personale in questo momento difficile e di transizione verso lo smart working.
Cerco, dunque, di scandire la mia giornata in ore lavorative e in quelle dedicate al tempo libero per mantenere una buona salute mentale e fisica. Spazio, quindi, alle chiamate con i miei cari e agli esercizi indoor!
Non sono mancati momenti di sconforto, ma è anche importante accettare la nostra emotività ed imparare a gestirla. 

Parliamo di mondo del lavoro. Come sta cambiando il tuo settore? Quali strategie saranno necessarie per superare questo momento e cosa consigli ai giovani che vorranno entrare a farne parte?

Una domanda complessa! Rispondo evocando tre punti che mi stanno particolarmente a cuore, con l’augurio che questa crisi diventi un’opportunità per pensare e costruire un sistema socioeconomico più umano. 
In primo luogo, l’etica, dimensione universale della filosofia, ovvero della ricerca della vita buona, prendendo cura di noi stessi, degli altri e, quindi, delle generazioni future. Nel mio settore si traduce nell’integrare l’etica dello spazio nella pianificazione strategica, riprendendo, ad esempio, il report pubblicato congiuntamente dall’ESA e dall’UNESCO nel 2000.
In secondo luogo, la parità di genere. L’aumento delle violenze domestiche sulle donne durante questo periodo di confinamento indica l’urgenza di riconsiderare una giusta relazione uomo-donna, di cui l’uguaglianza in ambito lavorativo ne diventa che una conseguenza.
Infine, pensando anche alla “strage dei nonni” a cui stiamo assistendo, ritengo sia importante considerare il contributo della forza lavoro intergenerazionale, da chi ne sta entrando a chi è prossimo ad uscirne.

 

 

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