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Intervista a Meg Torresan, Los Angeles

Mi chiamo Meg, ho 24 anni, e sto conseguendo un certificate in digital marketing presso la UCLA (University of California, Los Angeles), che corrisponde a un master italiano. Durante il mio secondo anno di università a Ca’ Foscari ho deciso di candidarmi al bando Overseas per passare il terzo anno negli Stati Uniti, e l’ho vinto. Sono partita a fine luglio 2018 per la California e ho cominciato il mio semestre all’estero alla California State University Long Beach, a circa 40 km da Los Angeles. Quel periodo è stato fantastico e mi ha fatto innamorare di questo posto, così ho deciso di tornarci una volta conseguita la laurea triennale.


Secondo il tuo punto di vista come sta rispondendo alla pandemia la società del Paese in cui vivi e quali analogie/differenze trovi con la risposta italiana

Avrei molto da dire sul come gli Stati Uniti hanno deciso di affrontare questa situazione di emergenza. La mia impressione inizialmente era che qui le persone si stessero comportando più responsabilmente rispetto all’Italia. Non appena le voci sul Covid-19 sono arrivate nel Paese infatti, la gente ha iniziato ad evitare i posti più affollati, cercando di rimanere in casa il più possibile. Ho notato un senso civico maggiore rispetto a quello a cui ero abituata in Italia, anche se forse era più che altro paura. In ogni caso, mi è sembrato positivo vedere che le persone sapessero da sole cosa fosse giusto fare, indipendentemente dagli ordini dall’alto.
Quello che mi ha sorpreso di più, e che tuttora mi sorprende, è che il governo statunitense non abbia mai messo in pratica drastiche misure di lockdown. Ciò che intendo con questo è che il presidente ha inizialmente ignorato la situazione, cercando di non fermare l’economia del Paese fino a quando non si è rivelata un’azione necessaria. Tuttavia, anche dopo la diffusione di regole precise da parte del governo federale e di quello locale, non è mai cominciata una reale quarantena; anche con la chiusura di ristoranti (fatto salvo per l’attività di asporto), palestre, scuole, università e luoghi di ritrovo, non c’è mai stato un vero e proprio controllo da parte delle autorità, e chiunque poteva spostarsi e passeggiare liberamente.
Mentre sentivo parlare di posti di blocco, controlli continui e autocertificazioni necessarie per spostarsi in Italia, qui non è stato fatto nulla di tutto questo. Anche se la maggior parte della popolazione seguiva le regole, c’era sempre qualcuno che andava contro corrente. Inoltre, penso che ci sarebbe dovuta essere più informazione per quanto riguarda le misure di sicurezza da adottare; questo avrebbe evitato il verificarsi di alcuni episodi che continuo a vedere, come ad esempio un uso non corretto di guanti e mascherine.
 

 

Gli Stati Uniti hanno cercato di seguire gli step di altri Paesi come l’Italia, per ora procedendo dalla fase 1 alla fase 2. Nel giro di un mese dall’inizio del contagio molte attività si stanno preparando per riaprire, e le disposizioni concedono maggiore libertà di movimento (ad esempio passeggiare sulla spiaggia, senza però potersi fermare per prendere il sole e sempre evitando l’assembramento); di fatto però i controlli sono sempre stati poco severi, con pochissime multe anche durante la fase 1 e interventi poco incisivi da parte della polizia.
In poche parole: mentre all’inizio sono rimasta colpita dal senso di responsabilità dei cittadini americani, ora sembra che gli Stati Uniti si siano stancati del virus e abbiano deciso che non esista più. Questa mentalità, insieme alla poca efficacia delle misure adottate, hanno portato gli Stati Uniti ad essere tra i primi paesi per numero di contagiati.
Purtroppo in alcuni Stati la situazione è ancora più grave, con delle accese proteste contro le misure di sicurezza. In North Carolina, Arizona e New York, ad esempio, ci sono state delle vere e proprie manifestazioni in strada da parte dei cittadini che si rifiutavano di indossare le mascherine, sostenendo addirittura che il virus non sia mai esistito e che sia soltanto una montatura per rinchiudere le persone in casa e limitare la libertà personale. Mi ha particolarmente colpito la frase di un manifestante in Michigan: “Dangerous freedom is better than safe tyranny”, cioè una libertà pericolosa è meglio che una tirannia in sicurezza; una frase che rappresenta un modo di pensare molto diffuso e potenzialmente molto dannoso. Fortunatamente, qui in California c’è una mentalità molto diversa e non ci sono state proteste di questo genere.

Nella tua città qual è la sensazione più forte o il fenomeno più strano di questi giorni?

Essendo Los Angeles particolarmente nota per le cose strane che capitano ogni giorno anche in una situazione di normalità, è difficile individuare un fenomeno in particolare; tuttavia, un episodio particolarmente significativo sulla poca importanza che generalmente viene data al virus è quello accaduto il weekend scorso sulle colline di Hollywood, dove un uomo si è accidentalmente sparato da solo ad una gamba mentre era ad una festa. Senza dilungarmi sul fatto che ci fosse un’arma, lascia molto perplessi il fatto che venga celebrata una festa in un contesto simile.

Com'è la tua "giornata tipo" in lockdown?

Anche se qui un vero lockdown non c’è mai stato, io ho comunque seguito il mio buon senso e sono rimasta a casa dal momento in cui il virus ha iniziato a diffondersi. Le prime settimane sono state le più dure; nonostante io mi consideri una persona attiva, la quarantena ha influito molto sul mio umore e inizialmente non trovavo la motivazione di fare nulla. Più tardi ho capito che fosse necessaria una routine per rendere le giornate più leggere.
La mia giornata tipo in lockdown comincia presto; faccio colazione, do da mangiare ai miei gatti, faccio esercizio fisico nel mio salotto. Dedico gran parte delle mie giornate a seguire le lezioni online dell’università; il resto del tempo a mia disposizione lo passo a scrivere sul mio blog. La sera poi, quando non c’è nessuno in giro, esco per fare una passeggiata.

Parliamo di mondo del lavoro. Come sta cambiando il tuo settore? Quali strategie saranno necessarie per superare questo momento e cosa consigli ai giovani che vorranno entrare a farne parte?

Per quanto riguarda il mondo del lavoro credo che il mio settore sia tra quelli che ne risentiranno di meno; il marketing applicato al mondo digitale infatti permette di continuare un’attività anche a distanza. Purtroppo in Italia è un concetto ancora poco conosciuto; qui in America lo smart-working è molto diffuso, e moltissime professioni vengono svolte quasi interamente in digitale. Spero che le attuali sfortunate circostanze possano essere uno spunto per le aziende italiane ad aprirsi su questo fronte.
Difficile dire quali strategie ritengo necessarie per superare questo momento; probabilmente il digital marketing è uno dei settori più fortunati in questo momento storico, quindi consiglierei a chi volesse entrare a farne parte di non scoraggiarsi e valutare attentamente tutte le opportunità presenti.